Categoria: Approfondimenti
G. Piffer, M. Rinaldi, Waterstones Srl
Nel campo geotecnico il log in foro di sondaggio e pozzo rappresenta un potente strumento per l’analisi geomeccanica ed in generale per rilevare cavità e fratture all’interno degli ammassi rocciosi.
Nella pratica comune del log è possibile utilizzare due differenti dispositivi: la telecamera acustica (BHTV) e la telecamera ottica (OPTV). La telecamera ottica utilizzata viene anche definita come ‘scanner ottico’. Lo scanner ottico è uno strumento leggermente diverso da un quello utilizzato per l’ispezione televisiva dei pozzi idrici.
La telecamera acustica restituisce ampiezze e tempi di percorrenza di un segnale ultrasonico che vengono elaborati in modo da ottenere ‘un’immagine acustica’ delle pareti del foro mentre lo scanner ottico restituisce immagini a colori reali. La scansione avviene lateralmente ed in modo circolare per entrambi i dispositivi.
Ambedue gli strumenti devono essere centralizzati sul foro durante l’esecuzione della prova. Nel caso in cui il diametro del foro ecceda il diametro nominale dello strumento centralizzato si potrebbe perdere la corretta posizione a scapito della qualità dei dati registrati.
Le registrazioni ottenute dai due differenti strumenti non sono equivalenti ma rappresentano dati complementari soprattutto quando lo scopo dell’indagine è l’analisi strutturale.
Un’opzione comune di visualizzazione dei dati è la proiezione 3D della ‘carota virtuale’ che può essere ruotata ed osservabile da qualsiasi angolazione. Le immagini ottenute integrano, sino anche a sostituire completamente, i dati ottenuti da un sondaggio a carotaggio continuo ovviando ai noti problemi connessi al difficile recupero e all’ orientamento delle carote.
La telecamera acustica è funzionale solo in fori di sondaggio e pozzi riempiti da fluidi, anche in condizioni di elevata torbidità ed in presenza di fanghi di perforazione. La telecamera ottica è funzionale in condizioni di fori di sondaggio senza fluidi o riempiti di acqua limpida.
Un vantaggio della telecamera acustica è quello di misurare il diametro del foro attraverso l’uso del calibro digitale, strumento molto utile ne calcoli volumetrici necessari nelle operazioni di cementazione del foro e nelle fasi di completamento.
Le immagini successive (Fig.1-3) mostrano le registrazioni, per entrambi i dispositivi, dello stesso intervallo di profondità in fori di sondaggio differenti. Gli esempi sono stati registrati in diversi tipologie di roccia attraversata. Si può notare come i dati ottenuti dai due dispositivi evidenzino diverse proprietà geomeccaniche relative alla stessa formazione rocciosa indagata.
Fig.1 Immagini OPTV e BHTV di un foro di sondaggio verticale eseguito in roccia sedimentaria. La sequenza è costituita da strati di calcarenite con diffuse strutture primarie.
Fig.2 Immagini OPTV e BHTV di un foro di sondaggio verticale, realizzato in una sequenza metamorfica intrusa da filoni pegmatitici sub-orizzontali.
Fig.3 Immagini OPTV e BHTV di un foro inclinato di 40 ° realizzato in paragneiss.
G. Piffer(1), M. Rinaldi(1), B. Della Vedova (2)
(1) Waterstones S.r.l. Via Bolzano/Bozenstrasse 40, 39044 Egna/Neumarkt (Bz) – Italy
(2) Dipartimento di Ingegneria Architettura, Università degli Studi di Trieste, Via Valerio 10, 34127 Trieste – Italy
ABSTRACT
Il presente contributo è focalizzato sull’acquisizione e l’interpretazione dei logs geofisici eseguiti nel pozzo geotermico Grado2 con la supervisione tecnico-scientifica del Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università di Trieste.
Lo sfruttamento dei sistemi geotermici caratterizzati da conduzione dominante, richiede una profonda comprensione delle principali proprietà fisiche dei sistemi di fratturazione e del modello di circolazione dei fluidi nel serbatoio. La tecnica del Wireline log, con l’acquisizione di set completi di dati petrofisici e geologici (calibro meccanico, gamma ray naturale, resistività normale e potenziale spontaneo, sonica, scanner acustico radiale e micro mulinello), integrati con i dati di produzione, rappresenta un potente strumento per la valutazione di questi importanti parametri.
I dati acquisiti consentono di calibrare ed integrare i dati geologici e geofisici disponibili e permettono la corretta valutazione delle risorse geotermiche e delle operazioni di perforazione e completamento del pozzo.
Il pozzo Grado2 rappresenta il pozzo di produzione del doppietto geotermico realizzato per il sistema di teleriscaldamento, mentre il pozzo Grado1 rappresenta quello di re-iniezione nello stesso serbatoio.
Il Progetto Geotermico Pilota di Grado è una iniziativa della Regione Friuli Venezia Giulia, Italia, sostenuto da finanziamenti comunitari, per lo sfruttamento razionale delle risorse geotermiche a bassa entalpia contenute nei serbatoi carbonatici profondi del bacino nord-Adriatico.
1. IL PROGETTO PILOTA DI GRADO
Il progetto ha previsto la realizzazione di un impianto pilota di teleriscaldamento geotermico per alcuni edifici pubblici della città. La rete di teleriscaldamento è stata allacciata a due pozzi di ca. 1100 e 1200 m di profondità, ubicati all’interno della città di Grado e distanti l’uno dall’altro circa un chilometro (fig. 1). Il pozzo di derivazione Grado2 fornirà acqua geotermica a 47°-49°C cedendo calore agli scambiatori. L’acqua di ritorno dagli scambiatori è convogliata verso il pozzo di re-iniezione Grado1 nel medesimo serbatoio profondo (Gruppo di lavoro DIA-UNITS e FIT, 2014).
Il Servizio Geologico della Regione FVG e il Comune di Grado hanno eseguito le due fasi principali del Progetto per il teleriscaldamento di Grado:
• la prima fase mirava alla caratterizzazione del serbatoio geotermico carbonatico profondo nell’area di Grado, per ottenere una valutazione preliminare del potenziale geotermico attraverso l’esecuzione di indagini geofisiche e la perforazione del primo pozzo esplorativo denominato Grado1; questa fase si è conclusa nel mese di luglio 2008;
• la seconda fase è stata finalizzata al completamento delle indagini geofisiche per l’ubicazione del secondo pozzo, alla trivellazione del pozzo denominato Grado 2, alla valutazione del potenziale geotermico e della capacità di produzione. I lavori sono iniziati nel 2012 e sono stati completati nel dicembre 2014 gennaio 2015.
2. INQUADRAMENTO IDRO-GEOLOGICO
L’Isola di Grado è situata al limite sud-orientale della Laguna di Grado, nella Regione Friuli Venezia Giulia, Provincia di Gorizia. La pianura friulana ospita un complesso sistema di acquiferi confinati e non confinati all’interno di un sistema idrogeologico complesso, sviluppato prevalentemente in direzione N – S. Questo sistema idrogeologico è allogato all’interno di un cuneo sedimentario eterogeneo, caratterizzato da un incremento progressivo dello spessore in direzione W e verso il mare Adriatico dove supera localmente lo spessore di 500 m (Della Vedova et al., 2014) ed è costituito dalla seguente successione stratigrafica:
• sedimenti Plio-Quaternari deposti in ambiente marino poco profondo, litorale e alluvionale organizzati secondo più cicli trasgressivi – regressivi; questa copertura terrigena è costituita principalmente da strati sabbiosi/ghiaiosi e limosi, dotati di porosità primaria estremamente variabile;
• molassa alpina di età Oligo–Miocenica, costituita da prevalenti intervalli marnosi con scarse arenarie, depositati in ambiente marino poco profondo; caratterizzati da bassa permeabilità di matrice, ma localmente interessati da sistemi di fratture e faglie;
• Flysch torbiditico eocenico dell’avanfossa dinarica costituito da prevalenti intervalli marnosi, ricchi di faune pelagiche di mare profondo; con caratteristiche di bassa-bassissima permeabilità. Il cuneo clastico sedimentario si sovrappone ai calcari di piattafor ma Paleocenici e Mesozoici. Al di sotto dell’area costiera veneto-friulana i calcari di piattaforma presentano due chiare culmina zioni delimitate da sistemi di faglie normali e transtensionali profondamente radicate nel basamento carbonatico con direzione sub-parallela alle catene orogeniche delle Alpi meridionali e delle Dinaridi (Della Vedova et al., 1988, 2008, 2014).
Alcune strutture tettoniche permettono la migrazione di fluidi e di acque calde mineralizzate lungo un esteso reticolo di fratture (Della Vedova et al., 2008). In corrispondenza dell’alto di Grado, ad ovest dell’isola, la piattaforma si trova ad una profondità di ca. 500-600 m (Figura 2 e 3), (Della Vedova et al., 2008; Della Vedova et al., 2014).
3. IL MODELLO GEOTERMICO
Gli alti strutturali della piattaforma carbonatica ospitano un serbatoio idrotermale poroso e fratturato che permette la circolazione convettiva di acque geotermiche nei primi 1-2 km di profondità (Della Vedova et al., 2014). Le celle convettive generano gradienti di temperatura anomali alla base del cuneo sedimentario sovrastante, i quali contengono falde acquifere idrotermali più fredde che vengono riscaldate principalmente per conduzione di calore dal basso (Figura 3). In questo quadro le successioni marnose non permeabili del Neogene e del Paleogene costituiscono una vera e propria barriera idraulica.
4. POZZI GEOTERMICI GRADO1 E GRADO2
In accordo con il contesto geologico/geofisico elaborato dai dati raccolti, il pozzo esplorativo Grado1, perforato sulla spiaggia nel settore occidentale della città di Grado, a circa 100 m dalla battigia, ha intercettato il serbatoio carbonatico a 618 m di profondità ed ha raggiunto un totale di 1.110 metri di profondità (Della Vedova et al., 2008).
Il pozzo Grado2 è stato perforato su un alto strutturale locale del basamento carbonatico (Poletto et al., 2013; Della Vedova et al., 2015) nel centro della città, a circa un chilometro ad est del pozzo Grado1.
Il programma di perforazione di entrambi i pozzi ha previsto l’adozione di diametri decrescenti con la profondità (24″, 17″ 1⁄2, 12″1⁄4, 8″ 1⁄2); da ca. 680 m di profondità, nell’intervallo superiore del serbatoio carbonatico, il foro è stato lasciato scoperto per l’esecuzione di logs geofisici e prove downhole. Rivestimenti in acciaio K55 API (20″, 13″ 3/8, 9″ 5/8) sono stati installati e cementati nell’intervallo superiore.
Le stratigrafie dei pozzi Grado1 e Grado2 hanno permesso di caratterizzare il reservoir geotermico negli alti strutturali della piattaforma carbonatica, sepolta sotto circa 620 m di sedimenti silicoclastici. La piattaforma carbonatica è costituita da calcari di età Paleogenica e del Cretaceo superiore (fig. 4) (Cimolino et al. 2010; Della Vedova et al., 2014). Il limite Cretaceo-Terziario è caratterizzato, in entrambi i fori a circa 1000-1010 m di profondità, da picchi ad elevata concentrazione di Uranio, riconosciuti in altri contesti dell’Adriatico settentrionale (Cimolino et al., 2010; Della Vedova et al., 2014).
5. POTENZIALE GEOTERMICO DEL SERBATOIO
Tutti i dati raccolti in pozzo sono stati integrati in un modello numerico termofluidodinamico preliminare e comparati con il quadro geologico rilevato a terra ed in mare, compresi i dati dei pozzi petroliferi e idrici (Della Vedova et al., 2008; Cimolino et al, 2010).
Il serbatoio è costituito da un acquifero fratturato confinato, avente una salinità superiore a 30 ‰ e una temperatura di 49,5 ° C nella parte inferiore del pozzo Grado2 e di circa 42 ° C in Grado1. Le analisi geochimiche delle acque geotermiche indicano che il fluido è acqua di mare anossica avente presumibilmente un’età di oltre 10 milioni di anni (Della Vedova et al., 2014). Ciò significa che le acque geotermiche circolano attraverso una complessa rete dai più antichi calcari cretacei ai più giovani calcari paleogenici, il volume del serbatoio può essere stimato attorno a 75-100 Km3 (Della Vedova et al., 2014).
A seguito di due cicli di acidificazione nel pozzo Grado2 è stato raggiunto un deflusso artesiano spontaneo di circa 100 t/h (flusso laminare fino a 28 L/s) con una pressione di 240 kPa a testa pozzo (Della Vedova et al., 2014). Considerando questo deflusso artesiano spontaneo ed assumendo 20 ° C come una differenza di temperatura utile, la potenza termica naturale di Grado2 risulta essere 2,3 MWth (1700 TEP/a). Poiché una produzione sostenibile è stata stimata in circa 126 t/h (≈ 35 L/s), il potenziale termico disponibile è valutato in circa 3 MWth (2200 TEP/a), (Della Vedova et al., 2014).
Geol. G. Piffer, Ph.D. M. Rinaldi; Waterstones S.r.l.
Il controllo dei fenomeni di crollo e più in generale dei movimenti franosi dei pendii in roccia si basa generalmente sulla definizione del quadro geomorfologico, litologico e strutturale locale. In particolare la conoscenza delle caratteristiche geomeccaniche dell’ammasso roccioso e la definizione delle condizioni di circolazione idraulica dovrebbero permettere l’elaborazione di un modello cinematico che preveda gli spostamenti nel tempo fino alla eventuale rottura del pendio.
In molti casi l’elaborazione di un modello cinematico realistico che consideri le variazioni dello stato tensionale agente in profondità in funzione del tempo e dei relativi mutamenti stagionali risulta estremamente complesso e di difficile valutazione. In tali situazioni è pertanto fondamentale ricorrere all’utilizzo di sistemi di monitoraggio in grado di misurare le deformazioni e gli eventuali spostamenti nel tempo dell’ammasso roccioso o di porzioni di esso.
L’acquisizione e l’analisi dei dati per mezzo del monitoraggio permette l’affinamento del modello cinematico ipotizzato attraverso l’accertamento dell’entità e dello sviluppo delle deformazioni in atto. Esso rappresenta quindi lo strumento principale per la valutazione delle potenziali aree a rischio e per stabilire le condizione di esposizione ai danni materiali ed economici del sito, in funzione dell’intensità del fenomeno atteso (vulnerabilità).
Le deformazioni gravitative nei pendii in roccia sono generate da movimenti significativi in corrispondenza dei piani disgiuntivi principali. In linea generale la stabilità dei pendii in roccia è quindi controllata dall’assetto strutturale dell’ammasso roccioso, dalla temperatura e dalle variazioni del contenuto e dello stato fisico dell’acqua (liquido/solido) all’interno delle discontinuità stesse.
Prima di predisporre un programma di monitoraggio strumentale di pendii in roccia, è necessario che vengano sviluppate una o più ipotesi di lavoro riguardo la geometria degli elementi instabili e dei relativi cinematismi di rottura. In via preliminare risulta pertanto di primaria importanza identificare i sistemi disgiuntivi principali interessati dalle deformazioni in atto.
Sulla base della valutazione del potenziale cinematismo di rottura che si può innescare lungo le discontinuità principali dell’ammasso roccioso è possibile dimensionare un sistema di misurazione strumentale delle porzioni instabili ritenute più significative.
La strumentazione più frequentemente impiegata nel monitoraggio di ammassi rocciosi prevede il controllo topografico con mire ottiche, il controllo dell’assetto mediante clinometri di superficie, il controllo di movimenti con estensimetri multibase in foro di sondaggio, il controllo di movimenti con fessurimetri elettrici lungo discontinuità superficiali ed il monitoraggio microsismico.
In questo ambito il monitoraggio geomeccanico di discontinuità superficiali, rappresenta sicuramente una tra le metodologie più semplici ed economiche. Sulla base dell’esperienza sviluppata dalla Waterstones S.r.l. in questo settore, riteniamo che tale tipo di monitoraggio debba possedere alcune caratteristiche che valutiamo come rilevanti:
- – la necessità di eseguire un monitoraggio in continuo dell’attività delle discontinuità superficiali attraverso la centralizzazione degli strumenti installati ad un acquisitore automatico;
- – la necessità di protrarre il monitoraggio strumentale per un arco temporale sufficientemente prolungato, almeno di un anno;
- – la necessità di misurare la temperatura dell’aria in sito. I fessurimetri più frequentemente utilizzati nel monitoraggio geomeccanico sono di 2 tipi: trasduttori potenziometrici lineari e trasduttori a corda vibrante. Questi ultimi risentono maggiormente delle variazioni di temperatura e perciò esigono necessariamente di una correzione termica.
La tipologia di ancoraggio più diffusa è di tipo meccanico. In commercio esistono trasduttori con differenti campi di misura e con la possibilità di applicare aste di prolunga in funzione della distanza tra gli ancoraggi e perciò della larghezza della discontinuità da monitorare. La scelta del campo di misura dovrebbe essere fatta in funzione dell’entità dei movimenti attesi. Ove non si sia a conoscenza del reale comportamento della discontinuità è buona norma posizionare il trasduttore a metà corsa per poi, eventualmente, recuperarne la corsa.
Una volta completato il monitoraggio nell’arco di un intero ciclo annuale, gli spostamenti misurati sono graficizzati in funzione del tempo. Sulla base degli spostamenti residui alla chiusura del ciclo annuale possiamo definire se una discontinuità può essere considerata non attiva o attiva.
Fig. 1. Elaborazione di un modello cinematico nella stabilità dei pendii in roccia
Discontinuità non attiva
Nel caso di discontinuità non attive lo spostamento residuo alla chiusura di un ciclo annuale di misure deve essere necessariamente trascurabile anche se possono essere registrati spostamenti stagionali compresi tra alcuni decimi di mm sino a diversi mm (Fig. 2).
Fig.2. Grafico degli spostamenti in funzione del tempo rilevati per alcune discontinuità non-attive. Valori negativi indicano un movimento d’apertura della discontinuità. Viene riportato per comparazione anche l’andamento della temperatura dell’aria.
Discontinuità attiva
In caso di discontinuità attive, lo spostamento residuo non è trascurabile ma segnala un movimento di apertura o di chiusura della frattura monitorata. Solitamente il comportamento di una discontinuità attiva appare essere controllato dai cicli termici annuali ai quali l’ammasso roccioso viene sottoposto. Il grafico spostamenti-tempo possiede perciò una forma a ‘gradini’ in cui lo spostamento subito, appare evidente solamente in alcuni mesi dell’anno (Fig. 3).
Fig. 3. Grafico degli spostamenti in funzione del tempo rilevati per alcune discontinuità attive. Valori negativi indicano un movimento d’apertura della discontinuità. Viene riportato per comparazione anche l’andamento della temperatura dell’aria.
Sulla base dei numerosi casi di studio osservati si può ritenere che ripetuti cicli di raffreddamento e riscaldamento dell’ammasso roccioso favoriscano processi di dilatazione e contrazione termica, generando nel tempo la propagazione delle discontinuità presenti e l’eventuale incremento degli spostamenti lungo i giunti.
Anche se nel breve periodo questi processi generalmente non compromettono la stabilità generale del pendio, la loro ciclicità può dar luogo al progressivo incremento delle deformazioni nell’ammasso roccioso, fino al potenziale evento parossistico.
Caso di studio: comportamento di discontinuità attive in fase di consolidamento di un volume roccioso instabile
L’esperienza maturata in questi anni in numerosi cantieri ci ha dato la possibilità di verificare direttamente la validità del monitoraggio quale strumento di controllo dell’efficacia degli interventi di consolidamento attivo in fase operativa e post opera.
Il caso di studio riportato di seguito si riferisce ad un volume roccioso instabile di dimensioni pari a ca. 120 m3 ubicato a monte di un edificio tutelato in Alto Adige (Fig. 4).
Nel grafico illustrato in Fig. 5 si nota come l’attività delle discontinuità si manifesti anche in fase di tensionamento dei sistemi di ancoraggio ed imbrago installati lungo il pendio. Nelle fasi successive alla tesatura delle funi non si registrano più variazioni nell’apertura e nella chiusura delle fessure monitorate.
Il monitoraggio può pertanto essere mantenuto anche nelle fasi post opera quale valido strumento di verifica dell’efficacia degli interventi di consolidamento eseguiti.
Fig. 4. La porzione rocciosa oggetto di intervento di consolidamento attivo Fe Valdinova
Fig. 5. Grafico degli spostamenti in funzione del tempo rilevati per la discontinuità principale che definisce sul lato di monte la geometria della porzione rocciosa instabile. Durante la tesatura delle funi di imbrago del blocco instabile monitorato è stato misurato un movimento di chiusura della frattura principale in corrispondenza dei fessurimetri Fe3 e Fe2 rispettivamente di 3,00 mm e 0,50 mm. In fase esecutiva il sistema di monitoraggio installato è stato integrato con 2 trasduttori per il controllo dello stato tensionale delle funi d’imbrago.
Geol. G. Piffer, Ph.D. M. Rinaldi; Waterstones S.r.l.
La Waterstones S.r.l. di Egna (BZ) è una società di servizi che si occupa di log geofisici in foro di sondaggio e pozzo. La tecnologia del well log in foro ha trovato grande sviluppo dagli anni ’60 e permette di determinare le proprietà fisiche delle pareti dei fori di sondaggio e/o pozzo, dei fluidi presenti e delle rocce circostanti. Un log è una registrazione continua di proprietà fisiche in funzione della profondità.
Il Well Log prevede l’utilizzo di uno specifico tool che viene calato in foro. Il tool è collegato alla superficie mediante un cavo portante in acciaio che permette anche la trasmissione in/out dei dati. Lo svolgimento del cavo è controllato da un argano meccanico (winch) dotato di encoder collegato ad una consolle d’acquisizione dati ed ad un pc portatile. L’encoder rileva la profondità del tool.
Una specifica attività che ci ha visti impegnati in diversi cantieri negli ultimi anni riguarda la realizzazione di log mediante scanner ottico OPTV in prefori suborizzontali eseguiti a distruzione di nucleo sul fronte d’avanzamento di costruzioni in sotterraneo (Fig,1-2).
Fig.1. Prefori leggermente inclinati verso l’alto realizzati sul fronte d’avanzamento del Brenner Basis Tunnel, finestra di Mules, BZ.
Fig. 2. Realizzazione di prefori sub-orizzontali sul fronte d’avanzamento della variante SS16 Laives, BZ.
L’utilizzo di tecniche di perforazione a distruzione di nucleo ha il vantaggio di essere eseguita in tempi rapidi e a costi minori rispetto ai sondaggi a rotazione e carotaggio continuo. A tale scopo si possono eseguire 2-3 prefori variabilmente direzionati e sfalsati in lunghezza sullo stesso fronte d’avanzamento. La distruzione di nucleo rende piuttosto irregolare le pareti del foro ma non compromette la qualità dell’analisi strutturale che può essere eseguita (Fig. 3).
Fig. 3. Qualità dell’immagine rilevata con scanner ottico OPTV in foro sub orizzontale eseguito a distruzione di nucleo su porfido. Si notano una diffusa struttura a bande e diverse fratture. Cantiere SS16 variante di Laives.
Lo strumento viene introdotto nel foro centralizzandolo in modo da ottenere la più alta risoluzione dell’immagine e la corretta acquisizione dei dati d’inclinazione ed azimut. Lo scanner ottico OPTV genera un’immagine a 360° continua ed orientata delle pareti del foro di sondaggio per mezzo di un sistema ottico ed uno specchio conico. La camera registra l’immagine delle pareti del foro grazie all’illuminazione di una serie di led posti al di sopra del gruppo ottico dello strumento. La scansione avviene lateralmente ed in maniera circolare. Lo strumento è in grado di eseguire una scansione ogni mm di spostamento con campionamento max di 720 pixel per ogni scansione circolare.
L’immagine ottenuta dalla scansione delle pareti del foro viene sviluppata sul piano ed orientata rispetto il nord magnetico, su questa immagine le strutture attraversate (diaclasi, fratture, faglie, stratificazioni, laminazioni, foliazioni, etc) corrispondono a tracce sinusoidali (Fig. 4).
Fig,4. Lo scanner ottico OPTV, principio di funzionamento ed immagine in colori reali svolta sul piano con tracce sinusoidali relative a cambi lito-strutturali.
La possibilità di ottenere un’accurata analisi geomeccanica supportata da centinaia di dati strutturali (fig.5), facilmente fruibili e archiviabili, ha convinto un sempre maggior numero di studi di progettazione e di società di costruzione ad adottare questa metodologia investigativa.
Fig. 5. Elaborazione dei dati di rilievo geomeccanico mediante immagine scanner ottico OPTV.
La Waterstones S.r.l è in grado di eseguire log sub orizzontali sino a qualche centinaio di metri in lunghezza. Il contemporaneo rilevamento della direzione e dell’inclinazione permette il controllo direzionale del preforo e dei relativi dati ottenuti dall’analisi strutturale delle immagini (Fig.6).
Fig. 6. Elaborazione dati d’inclinazione di un foro di sondaggio sub-orizzontale.
I dati restituiti sono determinanti per un razionale dimensionamento dei rivestimenti, per l’individuazione delle fratture e delle cavità più significative, per la localizzazione di venute d’acqua e per la caratterizzazione di zone con caratteristiche geotecniche scadente quali faglie e fasce cataclastiche. La notevole qualità delle immagini può permettere l’analisi di facies e l’individuazione di eventuali strutture primarie. La qualità delle immagini è strettamente dipendente dalla pulizia delle pareti del foro o in presenza d’acqua dall’assenza di torbidità.